Cinzia Baldazzi (nella foto in evidenza) è laureata in Lettere Moderne alla “Sapienza” in Storia della Critica Letteraria, è nata e vive a Roma. È scrittrice, giornalista, critico letterario, promotrice culturale.
Desidero ringraziarla pubblicamente per avere deciso di raccontarsi nel mio blog e per la collaborazione che presto la vedrà protagonista nella nuova rubrica “L’angolo di Cinzia Baldazzi“. Vi consiglio di mettervi comodi e di leggere con attenzione tutta l’intervista, in quanto contiene tanti spunti interessanti.
Non succede tutti i giorni di incontrare persone che come lei hanno dedicato buona parte della propria esistenza allo studio, all’analisi e alla promozione di libri e della poesia in particolare. Numerose sono le sue incursioni in ambito teatrale, cinematografico, televisivo mantenendo un profilo sempre alto. Ci racconti com’è nata questa passione, che è poi sfociata in un lavoro di fine cesellatura delle parole e degli scritti che continua ancora oggi.
Cinzia Baldazzi – La passione della scrittura ha avuto origine, nell’adolescenza, dalla necessità vitale di leggere. Forse si trattava del lascito ideale di mia madre, o della ricerca di un rifugio dopo la sua scomparsa: l’ho persa infatti quando avevo solo dieci anni. Aveva studiato a Roma con Giovanni Gentile e si era laureata in Storia della Filosofia nei primi mesi del ’46. Insegnò per pochi mesi lingua inglese, poi fu assunta alla TWA. Nell’estate del ’65 stava per lasciare la compagnia aerea e iscriversi al concorso a cattedra, ma una malattia fulminea ebbe il sopravvento.
Alla scuola media Montessori di Villa Ada conobbi i testi di Federico Garcia Lorca: dalla giovanissima professoressa Anna Maria Pecchia imparai ad amare i versi di Los álamos de plata, che lei traduceva con I gattici d’argento (invece di “salici”). Nello stesso periodo scoprivo le novelle di Pirandello e la successiva grande stagione della narrativa breve italiana, da Giovanni Arpino a Gianni Santuccio, da Piero Chiara a Italo Calvino.
Alla maturità classica, al Liceo Orazio, quando mi presentarono il giudizio sul mio tema dedicato a Manzoni e al romanzo moderno, il voto era 8+ / 8 ½, e sotto, un appunto: «Saggio?!». I commissari non sapevano se giudicare il testo come un “elaborato da esame” o come un vero e proprio “studio critico” (genere allora non consentito: lo sarebbe stato alcuni decenni dopo). L’orale lo sostenni presentando una lettura dell’Infinito leopardiano secondo i canoni dello strutturalismo, con tabelle, grafici e collegamenti logici, al punto che, al termine, il professore di matematica commentò: «Beh, una parte del mio esame lo abbiamo già fatto…».
L’attività di scrittura vera e propria quando è iniziata?
Cinzia Baldazzi – Subito dopo la laurea, collaborando come critica letteraria a riviste culturali. Al 1979 risale l’inizio di un lavoro sistematico grazie al giornalismo. Entrai come collaboratrice al quotidiano romano “Il Giornale d’Italia” con l’incarico di seguire le recensioni del teatro “off”: era in corso, in quegli anni, la grande e irripetibile stagione dell’avanguardia romana, da Pippo Di Marca a Memè Perlini, da Carmelo Bene a Remondi & Caporossi. Ho sofferto, quasi tutte le sere, in teatrini malmessi, conventi occupati, cantine affollate, ma l’esperienza di quella scuola di scrittura è stata preziosa e insostituibile.
Poi sono passata a occuparmi saltuariamente di cinema, quindi di nuovo a teatro negli ultimi dieci anni, ma questa volta frequentando gli stabili. Infine, sono tornata a praticare la critica letteraria, utilizzando anche gli strumenti di diffusione della rete che una volta non esistevano.
Nel 1978 ha conseguito la laurea in Lettere Moderne presso l’Università La Sapienza di Roma con una tesi di critica letteraria su alcune novelle di Luigi Pirandello. Ci parli di quel periodo, delle atmosfere che si vivevano nell’ambito universitario, delle sue aspirazioni e speranze per il futuro.
Cinzia Baldazzi – Ho frequentato la Facoltà di Lettere e Filosofia a Roma nel quadriennio 1974-1978: anni tormentatissimi dal punto di vista organizzativo, politico, di gestione della vita quotidiana. Per conoscere giorno e ora di un esame si doveva consultare con fatica una bacheca (o, nel peggiore di casi, una parte di muro) affollata di centinaia di post-it fissati con puntine, a volte scritti a mano, prima che venissero rimossi o sostituiti; lezioni e seminari erano di frequente interrotti, rinviati o soppressi; l’occupazione del febbraio del ’77 fece saltare mesi di didattica: ero al piano terra della facoltà quando la polizia entrò con gli idranti e mi rifugiai in segreteria. Un giorno Aurelio Roncaglia, ordinario di Filologia Romanza, venne interrotto nell’Aula Magna dall’ingresso di un collettivo contro il fascismo. Allora si rivolse ai giovani disturbatori con parole piene d’ira: «Io ero antifascista nel ’38!».
Il culmine del caos venne toccato quando, in vista della seduta di laurea fissata per dicembre ’78, venni a sapere per caso, da un impiegato, che la mia tesi (consegnata mesi prima in Segreteria) non si trovava più. È vero, ne avevo altre tre copie (per me, il relatore e il correlatore), ma lo shock fu talmente forte che ancora oggi non riesco a ricordare cosa avvenne nelle settimane successive. Forse fu ritrovata, forse no. Ma la mattina del 21 dicembre un fascicolo del mio lavoro era comunque nelle mani del relatore Mario Costanzo Beccaria.
Insomma, il disordine regnava…
Cinzia Baldazzi – Certo, e noi studenti, per i quali qualcuno pagava puntualmente il tutto, eravamo considerati quasi un elemento accessorio non degno di attenzione. Eppure quel periodo è stato vitale di esperienze. Ho avuto l’onore di assistere alle lezioni di Walter Binni con le sue citazioni (bontà sua) in francese e in tedesco; sono stata spettatrice divertita e affascinata degli show del linguista Tullio De Mauro; mi sono scervellata (insieme ad altri) a cercare di ascoltare la voce bassa e roca di Emilio Garroni mentre discorreva di semiotica; ho scoperto la didattica del grande Agostino Lombardo che mentre spiegava Laurence Sterne sembrava lui stesso un imponente Tristram Shandy. E ancora Carlo Salinari, Giovanni Macchia, Diego Carpitella, Mario Alberto Cirese, Maurizio Del Ministro…
Senza dimenticare che, quando mi chiedono dove io abbia conosciuto mio marito Claudio, rispondo: «L’ho trovato all’Università». Era l’autunno del ’74: lui al secondo anno, io al primo. Entrambi seduti, a pochi sedili di distanza, nella penombra dell’allora diroccato Teatro Ateneo, dove seguivamo le lezioni di Storia del Teatro e dello Spettacolo di Adriano Magli. Il resto, come si dice, è storia…
Riguardo la tesi, cosa l’ha portata a dedicarsi a Luigi Pirandello?
Cinzia Baldazzi – La scoperta di Luigi Pirandello risale alla mia seconda media, nel ’67. La madre di Dina Tron, mia amica del cuore, lavorava come formatrice delle insegnanti montessoriane. Frequentandone la casa, mi imbattei nel primo volume Mondadori delle Novelle per un anno, contenente le raccolte Scialle nero, La vita nuda, La rallegrata, L’uomo solo. Lì lessi per la prima volta i testi che ancora oggi porto nel cuore: Nel segno, E due!, L’imbecille, Acqua amara. Conservo ancora quel libro, un’edizione del ’47 semidistrutta dalle ripetute consultazioni, annotata a matita a margine e con pagine volanti. Aveva già avuto un primo restauro da parte di mio suocero, ora ne meriterebbe un secondo.
La sintassi unica, irripetibile della prosa pirandelliana mi è penetrata nella mente, con i suoi guizzi, le contorsioni logiche, gli spiazzamenti, le inversioni: le stesse che hanno poi alimentato tanto suo teatro, culminando in Così è se vi pare. Da studentessa, Tullio De Mauro lesse un mio lavoro (forse una tesina, non ricordo bene): avendo notato un procedere certo non piano e lineare, e sapendo quanto la lettura influisca sul modo di scrivere, mi chiese: «Signorina, ma lei cosa legge?». Con candore, risposi: «Professore, il mio preferito è Pirandello». E concluse: «Ah, beh, allora…».
La scelta di Pirandello come oggetto della tesi parte quindi da lontano…
Cinzia Baldazzi – E venne poi facilitata dalla scoperta che il mio professore universitario Mario Costanzo Beccaria, ordinario di Critica Letteraria, era nipote di Giuseppe Aurelio Costanzo, direttore del Magistero di Roma agli inizi del secolo, il quale aveva aiutato il giovane amico Pirandello ad ottenere la cattedra di Lingua Italiana: fu quasi naturale, allora, scegliere il commediografo siciliano come oggetto della tesi di laurea. Il titolo era Organicità e dialettica nella poetica pirandelliana, e consisteva in un’analisi narratologica e semiotica di sei novelle: La vita nuda, La toccatina, Nel segno, Tutto per bene, La buon’anima, Distrazione. Il giorno della laurea mio padre mi regalò l’intera collezione teatrale Maschere Nude.
Da cronista, ho avuto la sorte di vedere e recensire spettacoli pirandelliani con una formidabile galleria di interpreti: Romolo Valli in Enrico IV e Tutto per bene, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Rossella Falk e ancora Valli in Così è (se vi pare), Salvo Randone in Pensaci, Giacomino!, Alberto Lionello in Il giuoco delle parti, Eduardo in Il berretto a sonagli, Lauretta Masiero e Paolo Ferrari in La signora Morli, una e due, più recentemente Gabriele Lavia nei Sei personaggi in cerca d’autore.
In una nostra discussione lei ha scritto una riflessione per promuovere un’importante iniziativa culturale che mi ha molto colpito. La riporto per intero per i nostri lettori: «Sappiamo tutti che la poesia, la letteratura non possono sconfiggere il male. Non lo hanno mai preteso: hanno sempre tentato di fare il loro meglio nell’alleviarne le manifestazioni, nel combatterlo con i propri mezzi, nell’esibire, magari, quando è possibile, strumenti utili ad affrontarlo». Può allargare il discorso per i lettori del blog?
Cinzia Baldazzi – Nella cultura del ‘900, questo aspetto è stato affrontato in un momento cruciale dell’intero secolo: la fine del secondo conflitto mondiale e la disfatta del nazismo. Nel 1949, Theodor W. Adorno, da poco tornato in Germania dopo l’esilio americano, scriveva: «La critica della cultura si trova dinanzi all’ultimo stadio della dialettica di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie». Per anni, questa radicale affermazione è stata discussa, confutata, demolita, segno che aveva toccato una ferita aperta: nonostante la sconfitta di Hitler, l’intellettuale percepiva il senso profondo di una sconfitta epocale. Adorno avrebbe poi chiarito meglio, ammettendo alla fine l’errore. Nel 1966 scriveva infatti: «Il dolore incessante ha altrettanto diritto di esprimersi quanto il torturato di urlare; perciò forse è sbagliato aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere poesie».
Negli anni tra i due pensieri, si sviluppa il rapporto tra il filosofo e il giovane Paul Celan, ebreo rumeno di lingua tedesca, sopravvissuto al lager dove morirono i genitori. Il critico Enrico Testa ha spiegato: «Nella poesia di Celan il monito di Adorno si rovescia in una ricerca paradossale ed estrema. Auschwitz, il male storico, diventa il passaggio per un nuovo percorso della parola: la parola lotta con il silenzio e non cede ad esso e al nichilismo: è una parola conquistata nel gorgo muto delle vittime».
Che cosa ne dovremmo ricavare?
Cinzia Baldazzi – Senza voler stabilire un paragone impossibile, abbiamo anche noi, tutti indistintamente, un’esperienza da raccontare: quella del confinamento per oltre due mesi a seguito dell’emergenza sanitaria. Chiusi in casa quasi per l’intera giornata, il tempo non sarebbe dovuto mancare. Ebbene, mi chiedo: con quanto è successo, avrebbe avuto senso prendere in mano un libro di poesie o di narrativa e trasferirsi con tutti noi stessi in un altro mondo? Quasi un ripiego strumentale, evasivo, fine a se stesso? Una distrazione?
È vero, nello sfogliare o nel comporre pagine di un volume percepiamo senza dubbio il conforto di un bello correlato al sollievo dal dolore, dall’angoscia, dal panico: per questo solo, converrebbe leggere o scrivere. Nel mio piccolo, libri come Eratre (2016) e Duecento anni d’infinito (2019), di cui sono stata co-autrice, sono stati concepiti su queste linee-guida. Ma soprattutto Passi nel tempo (2011), dove ho commentato quindici poesie di Maurizio Minniti e nella cui prefazione scrivevo: «Mi pare risulti abbastanza chiara un’idea centrale, che condivido con Maurizio Minniti: assegnare al linguaggio poetico la funzione di aiutare ad accogliere il mondo, a chiarirlo prima di rifiutarlo, a viverci. Se non fosse troppo, a rifondarlo».
Fëdor Dostoevskij ne L’idiota fa affermare al principe Miškin la famosa frase «La bellezza salverà il mondo». Considerazione e auspicio sempre attuali, visto che il nostro mondo è sempre in fibrillazione, tanto da farci temere che possa presto essere interessato da un default generalizzato, ovvero da una sorta di fallimento e insolvenza, per quanto attiene la sfera virtuosa delle relazioni umane. La domanda è: secondo lei il mondo è disposto a farsi salvare dalla bellezza?
Cinzia Baldazzi – Cinque anni fa, nell’estate del 2015, l’allora capo del governo Matteo Renzi proclamò in un convegno internazionale: «La nostra carta d’identità è la bellezza di Pompei, di Venezia, di Roma. Solo la cultura salverà il futuro dell’Italia». Gli rispose Umberto Eco: «La bellezza e la cultura non salveranno affatto il mondo. Anche Goebbels era un uomo coltissimo, ma questo non gli ha impedito di gasare sei milioni di ebrei. La comprensione della bellezza altrui, questa sì invece che può essere importante. Ma non dimentichiamoci anche che ci sono stati grandi criminali che collezionavano quadri». Ebbene, qualche giorno fa, aprendo la home page dell’Ansa, ho letto le parole con cui Giuseppe Conte ha inaugurato gli Stati Generali: «Nel momento in cui progettiamo il rilancio dobbiamo far in modo che il mondo intero possa avere concentrata la sua attenzione sulla bellezza del nostro paese». Non essendo più con noi un Umberto Eco a ribattere, affidiamo le nostre perplessità a due opere dello studioso e semiologo: Storia della bellezza (2004) e Storia della bruttezza (2007). Purtroppo, l’intercambiabilità tra i due concetti, o meglio tra le distinte, opposte percezioni, caratterizza il mondo contemporaneo e non fa ben sperare sul presunto “salvataggio”. Oggi viviamo di certo un indebolimento del senso estetico, al punto di non sapere spesso valutare il “bello”; a lato, riscontriamo una vera e propria cecità che impedisce di riconoscere ciò che è informe, asimmetrico, banale, disarmonico, sgraziato, in una parola: “brutto”. Ed è questo, forse, l’elemento maggiormente preoccupante.
Cinzia Baldazzi Cinzia Baldazzi Copertina della tesi di laurea Cinzia Baldazzi Copertina di Eratre Cinzia Baldazzi Libro curato da Cinzia Baldazzi Libro commentato da Cinzia Baldazzi
Lei si è nutrita e si arricchita di notevoli letture e frequentazioni culturali. Perché è importante oggi leggere e quale molla scatta in un lettore, quando decide a sua volta di scrivere, così come ha fatto lei e continua a fare?
Cinzia Baldazzi – Se la lettura alimentasse il desiderio di scrivere, sarebbe cosa buona. Però non vedo un automatismo: è vero che il grande poeta è sempre stato un lettore vorace, attento, sistematico, ma nella stragrande maggioranza dei casi io vedo scrittori che hanno scarsa conoscenza della letteratura.
A scuola hanno insegnato che leggere aiuta a scrivere bene. La frequentazione del pensiero di un grande autore lascia nella nostra mente qualche briciola della sua pregevole sintassi, sedimenta le tracce di un lessico ricco e complesso, fissa nella memoria visiva l’uso corretto di apostrofi, accenti, e così via. Anche se non sarebbe necessario un grande autore per insegnare la morfologia della nostra lingua madre, tuttavia…
Si dice: leggete qualsiasi cosa, ma leggete. In realtà non è proprio così: per una vera scuola di scrittura (nello stile, nella sintassi), devo rivolgermi a Manzoni, Pirandello, Calvino. Quando l’autore dei Promessi sposi si trasferì a Firenze con la famiglia per imprimere una svolta linguistica al romanzo, passava le giornate con i letterati e parlava con la gente lungo l’Arno («nelle cui acque risciacquai i miei cenci»), ma la sera, a lume di candela, leggeva e rileggeva Guicciardini, con la sua impostazione classica, tante subordinate, periodi ampi, verbo all’ultimo posto.
Da parte mia, ai tanti amici poeti e novellieri che a volte sono preda di una incontenibile coazione a scrivere, non posso che suggerire di dedicare maggior tempo a leggere. Attività oscura, svolta in intimità, senza un apparente e immediato riscontro. Ma accrescitiva, gratificante, ricca di suggestioni alla distanza. Del resto, Jorge Luis Borges amava ripetere il suo distico: «Altri si vantino delle pagine che han scritto; / io vado fiero di quelle che ho letto».
Apprezzo molto di lei il fatto che si prodiga nel portare avanti un’intensa e riconosciuta opera di diffusione della poesia e della letteratura in generale, attraverso la divulgazione di nuovi autori, presentazione di libri, organizzazione di incontri tra poeti, coordinamento di reading, interventi critici, partecipazione come presidente di giuria in concorsi di poesie letterari. Come riesce a conciliare tutto questo lavoro e qual è il carburante che le dona tanta energia?
Cinzia Baldazzi – Partiamo, questa volta, dalla conclusione. A settembre del 2018, l’amico Nicola Paone ha voluto assegnarmi il Riconoscimento alla Carriera “Labore Civitatis”, all’interno della sua manifestazione “Tra le parole e l’infinito”. Ricevere il premio davanti a centinaia di persone, nello splendido cortile di San Leucio a Caserta, sotto le stelle di una mite serata di settembre, è stata un’emozione che non dimenticherò facilmente.
Ho avuto altri riconoscimenti in seguito (Verbumlandiart, la Macina onlus, I colori delle parole), ma porto nel cuore quel premio perché ha costituito il punto d’arrivo di un’attività portata avanti da anni. Ho organizzato reading, stimolato l’incontro tra poeti, presentato libri sotto forma di evento, concesso tante prefazioni a “opere prime”, fornito suggerimenti per libri e antologie, commentato numerosi scrittori che ho poi visto crescere con merito.
Per alcuni anni, luoghi privilegiati dei miei incontri sono stati due locali romani di Trastevere, il “Mameli27” e “Lettere Caffè”. Ma ho parlato di letteratura anche in gallerie d’arte, librerie, piccoli teatri, e ultimamente – con l’iniziativa Poesia Gourmet Itinerante – nei bar di quartiere, nei pub, nelle discoteche, persino in una sala da bowling.
Due sono i libri importanti in uscita entro fine anno, in collaborazione con una poetessa e con uno scrittore. Per ora non posso dire di più.
Dal suo curriculum si evince che lei ha collaborato con importanti personaggi del mondo della televisione in RAI. Ci parli in breve di queste esperienze.
Cinzia Baldazzi – Alla fine degli anni ’80 ho cominciato con la radio, per passare poi a Raiuno dove sono rimasta fino al 2010. Il primo programma importante, nel ’90, è stato Trent’anni della nostra storia di Carlo Fuscagni, allora direttore di rete. Dopo collaborazioni varie (con Mixer di Giovanni Minoli, con Antonella Boralevi), approdai nell’estate del ’95 a Carràmba che sorpresa: il compito di noi redattrici consisteva nel cercare e organizzare i cosiddetti “ricongiungimenti” tra gli italiani e i parenti emigrati all’estero che non vedevano più da decenni. Raffaella Carrà e Sergio Japino, conoscendo la mia esperienza di viaggi internazionali, mi affidarono subito il compito di girare il mondo per conoscere coloro i quali sarebbero poi dovuti tornare in Italia di nascosto e abbracciare in diretta televisiva i parenti, invitati quella sera in studio come semplici spettatori con l’ausilio di un “gancio”, ovvero di un complice. Lavoro faticoso, complesso, di grande responsabilità, che richiedeva una disponibilità totale: incuranti del fuso orario, mi chiamavano in piena notte dall’Australia o dall’Uruguay.
Con Raffaella ho lavorato alle sette edizioni del programma, dal 1995 al 2002: sono stata cinque volte in Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela, ho viaggiato in Australia, Cile e Stati Uniti, ho effettuato missioni in Germania, Irlanda, Inghilterra e Spagna. Ovviamente, per conoscere la persona oggetto di sorpresa, ho visitato decine e decine di famiglie in lungo e in largo per l’Italia, dalla Liguria alla Puglia, dal Friuli alla Sicilia. Ho dato molto a Carràmba che sorpresa e ho ricevuto altrettanto in termini di conoscenza della psiche umana, del carattere degli individui, delle culture e dei comportamenti.
Inoltre, non dimentico come una parte cruciale del mio lavoro, una volta rientrata in Italia dalle missioni, sia stata quella di scrivere: per Raffaella avevo approntato, e affinato nel corso degli anni, vere e proprie storie di famiglia, con date, episodi, dichiarazioni, spostamenti, una sorta di “racconto” sui generis dettagliato e partecipato per ogni singolo caso, così da costituire la base per il copione che poi gli autori avrebbero preparato per la puntata. Ciò non toglie che interi brani Raffaella li abbia citati per intero durante la diretta.
Più recentemente, ha avuto l’occasione di collaborare con Pippo Baudo…
Cinzia Baldazzi – Ho concluso il mio passaggio su Raiuno partecipando a quattro edizioni di Domenica In, due con Mara Venier, due con Pippo Baudo. Uomo di grande cultura e di capillare informazione, Pippo mi affidò vari incarichi, tra cui il “Tour de Chant”, una sorta di contest per cantanti lirici; la rubrica dei libri, incontri settimanali con autori (mi è rimasto impresso quello con Alberto Bevilacqua); ma soprattutto un concorso di poesia a cui parteciparono migliaia e migliaia di scrittori, e le cui poesie io dovetti leggere una per una. Con molti dei vincitori sono rimasta in contatto: tra questi Maurizio Minniti, con cui l’anno dopo ho pubblicato il libro Passi nel tempo. L’idea di Pippo ebbe successo, con votazioni ogni domenica pomeriggio in diretta. Il concorso volle intitolarlo, profeticamente, “Popolo di poeti”.
Intervista davvero molto interessante!
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Grazie Stefania…
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Non c’è che dire: intervista interessante a Cinzia dove lei risponde a cuore aperto nel raccontarsi. Complimenti per un curriculum davvero vasto, importante ed interessante sotto tutti i punti di vista. E che mi ha fatto piacere conoscere.
Gianna Costa
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Sono particolarmente emozionato per avere potuto accogliere nel mio blog le meravigliose parole di Cinzia Baldazzi.
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Grazie anche da parte mia, Gianna.
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In questa interessante intervista la Dott/ssa C. Baldazzi mostra, a pieno titolo, l’oceanica cultura che la personifica. Oltre a ciò, l’intervistata si apre al suo lettore/ascoltatore in modo pacato, docile e conseguenziale che la rende mite, accogliente ed accattivante nel narrare le Sue vicissitudini di studentessa e di universitaria. Una donna da ammirare certamente per tanta dedizione allo studio, alla cultura ed alle attività sempre culturali che ancora intraprende. Essere tra i suoi adepti è certamente un onore/privilegio se si vuole aquisire sempre in meglio. Pasqualino Cinnirella
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Caro Pasqualino, ora che conosce una parte della mia vita culturale, ora percorreremo insieme anche i passi della sua.
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Onoratissmo e lusingato.
Pasqualino Cinnirella
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Grazie per l’interessante commento
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Roma Caput Mundi, A.D. 2020, I dell’era C.V.(CoronaVirus), dies tertium post Iunii Idus. LETTERA APERTA A CINZIA BALDAZZI. Mia cara Cinzia, che sorpresa! Scusa, Raffaella, se prendo in prestito il tuo motto … non chiedermi soverchio aggio, ma solo l’agio (una sola G, come privilegio, quello d’essere disinteressato amico di Cinzia) per scolpire un me stesso racchiuso nel marmo d’una sorpresa … ma è sorpresa? Vediamo un po’ … “Saggio?” ti chiesero alla maturità. Saggia, replico io. Zero sorprese! Andiamo avanti. Teatro “off”? Gli “spin off” successivi – guarda caso anche televisivi, vero dottor Baudo? – ti hanno resa protagonista. Vabbè! Poi: Pirandello? E quando mai è sorpresa … così è, se mi pare ma anche se non mi pare così è! Appresso: Diego Carpitella? Toh, chi si rivede! Le sue tracce antropologiche, fuse con quelle di Ernesto De Martino suggellarono la mia lunga avventura al Circolo Gianni Bosio …. questa, cara Cinzia, quantomeno me l’aspettavo! Zero sorprese! Divento curioso come un bimbo di cinque anni davanti all’uovo di Pasqua! Tullio De Mauro? Più volte io e te ne abbiamo condiviso il Verbo Divino della lingua. Ah! Qui ti volevo! Theodor W. Adorno e la morte della poesia per asfissia ad Auschwitz … no sorprese: siamo d’accordo che la bellezza della poesia vince. Oltre al principe Miškin, con la famosa frase «La bellezza salverà il mondo», c’è anche un cadavere avvolto nel mistero più fresco: un certo Peppino Impastato. Mi sembrava … Eccoci arrivati al punto: si può non essere d’accordo con Umberto Eco? Finalmente la sorpresa, perché rispondo fieramente: “Sì!” … ma anche tu … E che vai dicendo sulla lettura che non aiuta la scrittura? Se non mi fossi accostato alla Bibbia, già ateo in calzoncini corti, per assaporarne la magia del mistero, non starei qui a leggere questa bellissima intervista. Concludendo. Ti sveli? Ti riveli? Io penso di conoscere abbastanza Cinzia Baldazzi Q.B., come è scritto nell’unica medicina che fa bene: l’amicizia vera e disinteressata! Ciao, CinziaLETTERA APERTA (MA NON TANTO, VISTO CHE LA SCRIVO QUI) A CINZIA BALDAZZI. Mia cara Cinzia, che sorpresa! Scusa, Raffaella, se prendo in prestito il tuo motto … non chiedermi soverchio aggio, ma solo l’agio (una sola G, come privilegio, quello d’essere disinteressato amico di Cinzia) per scolpire un me stesso racchiuso nel marmo d’una sorpresa … ma è sorpresa? Vediamo un po’ … “Saggio?” ti chiesero alla maturità. Saggia, replico io. Zero sorprese! Andiamo avanti. Teatro “off”? Gli “spin off” successivi – guarda caso anche televisivi, vero dottor Baudo? – ti hanno resa protagonista. Vabbè! Poi: Pirandello? E quando mai è sorpresa … così è, se mi pare ma anche se non mi pare così è! Appresso: Diego Carpitella? Toh, chi si rivede! Le sue tracce antropologiche, fuse con quelle di Ernesto De Martino suggellarono la mia lunga avventura al Circolo Gianni Bosio …. questa, cara Cinzia, quantomeno me l’aspettavo! Zero sorprese! Divento curioso come un bimbo di cinque anni davanti all’uovo di Pasqua! Tullio De Mauro? Più volte io e te ne abbiamo condiviso il Verbo Divino della lingua. Ah! Qui ti volevo! Theodor W. Adorno e la morte della poesia per asfissia ad Auschwitz … no sorprese: siamo d’accordo che la bellezza della poesia vince. Oltre al principe Miškin, con la famosa frase «La bellezza salverà il mondo», c’è anche un cadavere avvolto nel mistero più fresco: un certo Peppino Impastato. Mi sembrava … Eccoci arrivati al punto: si può non essere d’accordo con Umberto Eco? Finalmente la sorpresa, perché rispondo fieramente: “Sì!” … ma anche tu … E che vai dicendo sulla lettura che non aiuta la scrittura? Se non mi fossi accostato alla Bibbia, già ateo in calzoncini corti per assaporarne la magia del mistero, non starei qui a leggere questa bellissima intervista. Concludendo. Ti sveli? Ti riveli? Io penso di conoscere abbastanza Cinzia Baldazzi Q.B., come è scritto nell’unica medicina che fa bene: l’amicizia vera e disinteressata! Ciao, Cinzia. Massimo.
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Riscrivo il commento per l’involontaria ripetizione in cui sono incorso nel precedente, e per l’errata trascrizione della mia casella di posta. Di questo mi scuso con tutti voi. Roma Caput Mundi, A.D. 2020, I dell’era C.V.(CoronaVirus), dies tertium post Iunii Idus. LETTERA APERTA A CINZIA BALDAZZI. Mia cara Cinzia, che sorpresa! Scusa, Raffaella, se prendo in prestito il tuo motto … non chiedermi soverchio aggio, ma solo l’agio (una sola G, come privilegio, quello d’essere disinteressato amico di Cinzia) per scolpire un me stesso racchiuso nel marmo d’una sorpresa … ma è sorpresa? Vediamo un po’ … “Saggio?” ti chiesero alla maturità. Saggia, replico io. Zero sorprese! Andiamo avanti. Teatro “off”? Gli “spin off” successivi – guarda caso anche televisivi, vero dottor Baudo? – ti hanno resa protagonista. Vabbè! Poi: Pirandello? E quando mai è sorpresa … così è, se mi pare ma anche se non mi pare così è! Appresso: Diego Carpitella? Toh, chi si rivede! Le sue tracce antropologiche, fuse con quelle di Ernesto De Martino suggellarono la mia lunga avventura al Circolo Gianni Bosio …. questa, cara Cinzia, quantomeno me l’aspettavo! Zero sorprese! Divento curioso come un bimbo di cinque anni davanti all’uovo di Pasqua! Tullio De Mauro? Più volte io e te ne abbiamo condiviso il Verbo Divino della lingua. Ah! Qui ti volevo! Theodor W. Adorno e la morte della poesia per asfissia ad Auschwitz … no sorprese: siamo d’accordo che la bellezza della poesia vince. Oltre al principe Miškin, con la famosa frase «La bellezza salverà il mondo», c’è anche un cadavere avvolto nel mistero più fresco: un certo Peppino Impastato. Mi sembrava … Eccoci arrivati al punto: si può non essere d’accordo con Umberto Eco? Finalmente la sorpresa, perché rispondo fieramente: “Sì!” … ma anche tu … E che vai dicendo sulla lettura che non aiuta la scrittura? Se non mi fossi accostato alla Bibbia, già ateo in calzoncini corti, per assaporarne la magia del mistero, non starei qui a leggere questa bellissima intervista. Concludendo. Ti sveli? Ti riveli? Io penso di conoscere abbastanza Cinzia Baldazzi Q.B., come è scritto nell’unica medicina che fa bene: l’amicizia vera e disinteressata! Ciao, Cinzia.
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Caro Massimo, nel mondo di sorprese da te evocate, anche la mia è relativa, poiché, nel linguaggio simbolico che abbiamo in comune, l’epifania dei segnali è tale e tanta che numerosi di essi divengono ben presto il segno della reciproca scelta esistenziale basata sulla bellezza.
Grazie.
Cinzia
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Buonasera Signora Cinzia. Ho letto attentamente e più volte la sua intervista, cosa dire, la sua vita sembra uno scrigno, ho notato che c’è di tutto, abbondanza, pronta ad elargire i suoi doni ai lettori. La sua intervista un canto armonioso in armonia con l’universo. La sua anima una sinfonia. Piacere mio averLa conosciuta, una donna ch’è riuscita ad inventare il suo lavoro, quindi donna di fama e fortuna. La sua vita non solo conferenze, ma anche laboratori, non solo psicologia, ma anche Fede, non solo apprendimento, ma anche divertimento, non solo ritorno al passato ma anche slancio verso il futuro. Congratulazioni vivissime.
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La ringrazio, Eugenio, per aver colto con sorprendente efficacia (più che da ottimo psicologo) le tracce fondamentali della mia vita, laddove ho potuto e come ho potuto scegliere.
Continuiamo insieme a lavorare nel presente che, non dimentichiamolo, rappresenta il grande futuro di ieri.
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Per chi vuole conoscere meglio Cinzia Baldazzi, giurata di prestigio del Bando Letterario Città di Montieri, suggerisco la lettura dell’intervista che Antonino Schiera ha pubblicato sul suo Blog. Non ho nulla da aggiungere, se non la stima profonda che nutro nei confronti di Cinzia, ed aggiungere altro non serve visto che l’intervista è abbastanza completa ed analizza in profondità esperienze, qualità e professionalità di questa cara amica di Facebook che ho avuto già la fortuna di conoscere personalmente ad un convegno a Samone nel comune di Ivrea qualche anno indietro presentando la prima Antologia, “Orme Poetiche”, dove sono presente con alcune mie opere e che Cinzia ha recensito per le edizioni Intermedia di Orvieto, dove ha impiegato espressioni di stima e professionali sulla mia poetica.
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Leggi, e ti verrebbe da chiederti quanti anni abbia Cinzia per aver accumulato tante esperienze, in ambiti anche così diversi. Ovvero se sia vissuta in un mondo dove un giorno contempli ben più di 24 ore.
D’accordo, non ha ancora vinto il Nobel, ma si è già portata a casa un premio alla carriera. E tempo davanti ne ha ancora, eccome!
Sono certo che lei per prima sia grata alla sorte di averle concesso di frequentare l’Università in quegli anni là, ricchi e di caos e di fermenti e soprattutto di stimolanti personalità del mondo della cultura. Ma va da sé che non tutti i suoi ‘compagni di scuola’ abbiano saputo mettere a frutto come lei quelle preziose lezioni.
Quindi, chapeau! e buon proseguimento del tuo cammino, Cinzia!
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Caro Mario, spero proprio di meritare la stima che riponi nei miei confronti. Hai ragione, a quei tempi alla Sapienza eravamo tanti, anzi tantissimi. Alcuni miei compagni (io e mio marito li ricordiamo bene) si sono persi per strada. Forse erano stanchi di cercare date degli appelli di esame, anche se poi si sarebbero trovati davanti personalità come Diego Carpitella e Tullio De Mauro.
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Grazie, Armando, per l’amicizia e la stima che mi dimostri ormai da anni e per aver apprezzato l’intervista composta dalle domande del nostro amico Antonino: quesiti all’altezza di permettere di illustrare il sentiero che, in parte per caso, in parte per volontà, ho percorso insieme alla poetica, alla letteratura che noi tutti tanto amiamo.
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Ricevo e pubblico il commento di Charles Mac Charles:
Con fare titubante, mi appresto ad esprimere sensazioni frutto solo di quella “sapiente ignoranza” che l’esistenza terrena ci regala.
Non potrei mai interloquire o ragionare con chi della cultura ne ha fatto arte, dando così all’esistenza un valore esistenziale eccelso. Ed a leggere la tua biografia, si nota, anche grazie all’autore Antonino Schiera, quel censo, così diverso dalla stragrande maggioranza: si parte in 1000, ma solo 1 arriva! Ed allora, ammirato dalla sapienza nel riuscire a svelar a noi, umili che ignorano, le bellezze, l’autentico piacere nel comprendere il nesso ultimo di un’opera. Ed a tutto ciò noi c’inchiniamo!
Tuttavia, durante la piacevole intervista, lo spunto di quegl’anni ha evidenziato un’epoca d’oro, non solo per la letteratura o poesia, ma soprattutto il risveglio di una nuova coscienza: speranze e utopie si sono impossessati dell’anima e mente, confezionando una nuova società.
«Fëdor Dostoevskij ne “L’idiota” fa affermare al principe Miškin la famosa frase “La bellezza salverà il mondo”. Considerazione e auspicio sempre attuali, visto che il nostro mondo è sempre in fibrillazione, tanto da farci temere che possa presto essere interessato da un default generalizzato, ovvero da una sorta di fallimento e insolvenza, per quanto attiene la sfera virtuosa delle relazioni umane. La domanda è: secondo lei il mondo è disposto a farsi salvare dalla bellezza?».
Mi domando: cos’è la bellezza? Cosa smuove la bellezza, o, per meglio dire… quando o come siamo avvinti da quell’emozione che fa gioir gli occhi e rende mansueta l’anima? Non è mai di tutti, per tutti… al più lo può esser per la maggioranza. E dal momento che è soggettiva, credo che anche per la poesia possa valer questo assunto. Bellezza e poesia sono la luce che improvvisamente ci avvolge, che ci stupisce senza una particolare ragione; è quella beatitudine d’animo, è quel miracolo incastonato in questa società che insegue l’apparenza.
Ed allora, concedetemelo; lasciate che in cuor nostro ognun possa credere che proseguir sulla strada della poesia condurrà ad un mondo migliore!
Charles Mac Charles
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Caro Charles, nella nostra lunga conoscenza e frequentazione, queste parole mi riempiono di orgoglio, perché le ritengo acquisite da te, come dire, “in campo”. Sono anni che tento, senza successo, di convincerti: non sei un umile “scribacchino”, ma una delle fonti più preziose da consultare. Grazie per la stima dimostrata.
Per quanto riguarda, invece, la bellezza – giustamente evocata da Antonino Schiera – non è per tutti. L’importante, direi, da critico e non da poeta, che coloro i quali la percepiscono (speriamo, come dici, la maggioranza) riescano anche, come te, a incrementarla. Pur conservando le mie perplessità, già espresse, la intravedo come unica, operativa e possibile via di salvezza.
Grazie.
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Leggendo la stupefacente intervista (che non ha nulla da invidiare a una tesi di laurea), di Cinzia Baldazzi, della quale mi onoro d’essere amico, trovo la conferma di conoscere un talento della letteratura “scientifica”, talento puro con empatia. Certi credono che la cultura sia intelligenza, quando la cultura è “solo” sapere intelligente. Mi viene in mente l’assunto d’un vecchio saggio: “Il colto è chi sia capace di dire cose profonde in modo semplice, l’intelligente è chi sia capace di fare in modo semplice cose profonde”. Ebbene, la Prof.ssa Cinzia Baldazzi, fa leva sia sulla cultura, con avvolgenti citazioni d’autori, sia sull’intelligenza che, in connubio con la cultura, sollecita emozioni che aguzzano l’ingegno e portano alla creatività. Il suo “parlato” scritto ed orale, ha capacità comunicative affascinanti. Nella storia, c’è l’esempio d’un colto che dà suggerimenti intelligenti ed è quello di Albert Einstein: “Non hai veramente capito qualcosa, fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna”. Ebbene, Cinzia è tutto ciò.
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Caro Sergio, descrivere l’orgoglio generato dalle tue parole è un’impresa non semplice ma, come sostieni, io non mi tiro indietro. In sostanza, tu accenni alla letteratura “scientifica” della quale, tra i primi in Italia, parlò il filosofo Galvano Della Volpe, per molti anni docente ordinario di Filosofia ed Estetica a Messina. In assoluto uno dei miei primi punti di riferimento, al quale mi affezionai talmente tanto che, a 22 anni, nel corso del primo esame di Estetica con Emilio Garroni (ancora oggi mia privilegiata fonte kantiana), per difendere la sua dottrina al di fuori del marxismo, mi giocai l’esame. Ma, in realtà, Garroni teneva come te alla letteratura scientifica della quale parli perché, quando tornai da lui, imperterrita, questa volta con il programma di una prova biennale, l’autorevole docente saltò a piè pari, elegantemente, la parte di interrogazione su Della Volpe. Come fini? Una volta laureata in Lettere, volendo iscrivermi a Filosofia, andai da Garroni per parlarne e il suo consiglio fu: “Ma perché iscriversi di nuovo? Lasci stare, continui pure a studiare da sola”. Ed eccomi qua ancora a studiare.
Grazie di tutto.
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Buongiorno, mi soffermo sull’importanza di leggere. Mi rendo conto che questo è un mio enorme limite. Sono uno di quelli che scrive nell’ignoranza. Per lavoro leggo norme, articoli di giornali, ma la sera, dopo lavoro e famiglia, arrivo talmente scarico che mi è impossibile sfogliare una pagina. Spero un giorno di poter colmare le mie lacune. Vi ringrazio per il contributo alle mie riflessioni.
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Caro Luca, mi auguro tu possa trovare presto il tempo per “sfogliare le pagine”: in cuor mio sono certa l’auspicio si possa verificare quanto prima, poiché il solo particolare che tu ne senta il bisogno annuncia un grandioso avveramento di questo splendido desiderio.
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Bellissima intervista, complimenti alla tua ospite, donna di grande spessore.
Forse la bellezza non salverà il mondo ma di certo senza di essa troveremo difficile poterlo abitare privandoci delle emozioni che ci regala.
Lucia Rizzo
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Cara Cinzia,
ma lo sai che della intervista me n’ero dimenticato? L’ho letta questa sera, ma buona parte del discorso sviluppato nell’intervista ne ero a conoscenza perché la tua vita e le tue attività professionali me le avevi raccontate nel corso degli anni che ci siamo conosciuti.
E poi sei anche in Giuria nel mio Bando Letterario Città di Montieri (che stenta a chiudersi) e lo sei stato nel Bando Internazionale Veretum a Patù (Lecce) collaborando attivamente con me.
Quello che non conoscevo era il tuo anno di laurea. Per una straordinaria coincidenza del destino avevo ripreso gli studi nel 1974 ed ho discusso la mia tesi di laurea a Torino all’inizio di Aprile del 1978 con votazione 106/110.
Quindi abbiamo attraversato inconsapevolmente le stesse difficoltà, pur se in una università diversa, dovute a quel tormentato periodo storico che aveva fatto entrare in crisi personaggi anche più noti e più impegnati di me.
Io avevo ripreso gli studi perché dopo l’abbuffata del ’68 molte persone appartenenti alla mia generazione erano appunto entrate in crisi ed anch’io mi sono ritrovato nelle stesse identiche condizioni e pensavo che l’università (io avevo scelto Scienze Politiche indirizzo sociologico per via del mestiere che facevo) potesse dare risposte alla confusione che il ’68 aveva creato anche in me che ne ero stato inconsapevolmente un artefice con le lotte sindacali che sviluppavo in quel periodo.
Ma la conoscenza non risolve i problemi anzi li aggrava ma ti fornisce anche strumenti nuovi per farti una ragione su tanti accadimenti della vita e su tanti dubbi ed evitare di annegare, cosa che tanti avevano evitato scegliendo proprio la fuga dall’impegno politico e sociale.
Qualche anno dopo usciva sugli schermi “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores. E ricordi le considerazioni che il regista aveva inserito in apertura del film?
Aveva inserito una frase di Henri Laborit, estratta dal suo volume “Elogio della fuga”, e la frase diceva: “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”.
Ed io la mia crisi qualche anno dopo, nel 1992, la risolsi comunque con la fuga ed il rifugio sicuro fu la poesia che, comunque, aiuta almeno a sognare.
I miei versi spesso esprimono un certo disagio esistenziale ma spessissimo contengono dei precisi messaggi politici e sociali per le nuove generazioni (ma anche per quelle passate) invitandole all’impegno civile e non alla fuga.
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