Pubblico un mio breve monologo scritto e battuto a macchina con una Olivetti Lettera 22 nel mese di luglio dell’anno 1995 a Cefalù. Descrivo cosa avviene all’interno del nostro corpo quando siamo influenzati con piglio creativo, teatrale, ironico. Un argomento oggi divenuto molto attuale a causa del coronavirus. Infatti ho reso attuale il monologo nelle ultime pagine dello stesso. Buona lettura…:

Cefalù – Luglio 1995 – Dimenticandomi cosa significa stare bene, così come mi capita ogni volta che succede, oggi mi sento uno straccio per via di un attacco di quei piccoli mostriciattoli invisibili chiamati virus. Chissà cosa sta succedendo dentro di me? Armate di globuli bianchi con la lancia in resta si muovono a ondate lungo gli infiniti canali arteriosi e venosi, oggi come fogne buie tempestate e punteggiate da mille cadaveri caduti in battaglia. Ohè chi va là, grida il comandante di una guarnigione di pronto intervento! Purtroppo sono loro, i terribili e temuti virus.
L’altro ieri il campo era ancora sgombro, ma già qualche piccolo segnale faceva presagire il peggio. Fuori il tempo faceva le bizze: un po’ caldo, un po’ freddo e una leggera e gelida brezza tristemente conosciuta dai veterani delle vecchie battaglie. Il segnale per mettere tutti in allarme, dal più piccolo globulo bianco dei cavalleggeri, ai più massicci della fanteria pesante, era stato dato. In questi casi ti accorgi subito che qualcosa non va. Le ambasciate volano letteralmente da un capo all’altro, da un accampamento a un villaggio, da una caserma a una guarnigione di pronto intervento dislocate senza sede fissa lungo le arterie. Le bandiere rosse vengono innalzate per segnalare l’invasione in atto, i fuochi vengono spenti per evitare pericolosi segnali che possano aiutare il nemico. Si il nemico! Ma cosa vuole ottenere? Cosa pensa? Come agisce? Sono tutte domande che gli strateghi, i generali del corpo umano si pongono, lambiccandosi il cervello. Un po’ perché è da una vita che subiscono attacchi violenti di ogni tipo, riuscendo si a farla franca ma, perbacco, senza riuscire a sconfiggere definitamente, senza la benché minima prova di appello, il nemico.
Sulle questioni appena poste c’è da riflettere attentamente, in quanto è soltanto scoprendo le reali intenzioni degli agenti patogeni, che si può intraprendere una strategia vincente. Certo le informazioni che arrivano dalle altre battaglie non sono delle migliori. Si è sperimentato che senza un reale sostegno della mente pensante è difficile, con la sola forza dell’esercito, battere i virus. Diventa pertanto fondamentale assumere farmaci, coprirsi bene, non fare sforzi fuori luogo. E questo i generali lo sanno. Sappiamo anche noi, adesso, il perché di quell’aria funebre, ansiosa, trepidante d’attesa, che si manifesta nell’atto di un attacco dei mostriciattoli.

La fucina posta nei meandri più reconditi del corpo umano, viene alimentata con del carbone che, dapprima, nero e duro, diventa poi ardente e friabile. Il calore che ne scaturisce è di quelli memorabili, i fluidi cominciano a scorrere più velocemente cosicché l’intervento delle prime avanguardie contro i virus si fa più immediato e tempestivo. L’aumento della temperatura corporea velocizza la produzione di globuli bianchi, utili al sistema immunitario per combattere gli agenti patogeni; accelera il metabolismo e aumenta il consumo di ossigeno. La sensazione di calore che pervade tutti indistintamente è la conferma definitiva dell’attacco avvenuto. Non c’è più tempo da perdere. Anni di lotta hanno fornito la necessaria esperienza per organizzare gli interventi: per primi entrano in azione le unità di pronto intervento che forniscono alle retrovie le necessarie informazioni sul tipo di attacco. Ecco che diviene importante conoscere il tipo di virus che ha invaso l’organismo; dove si trova il primo focolaio dell’infezione; dove il virus si è annidato con maggiore virulenza. In un secondo tempo intervengono le guarnigioni più lente perché più equipaggiate. In questi frangenti avvengono le battaglie decisive, non che si possa sconfiggere il nemico subito, ma in questa fase si stanno già decidendo le sorti della guerra.

Invero nelle retrovie i veterani, i globuli bianchi corazzati quelli con più esperienza, perché immunizzati, scalpitano per intervenire. Ma un conto è agire contro un nemico provato da perdite e sconfitte, un altro conto è combattere contro un esercito ancora nel pieno delle proprie forze. Un tifo da stadio rimbomba dentro l’organismo durante le battaglie. I virus sapendo di avere vita breve se non si verificano subito le prime vittorie, gridano come ossessi. Come orde di barbari tentano di conquistare nuove posizioni. Le posizioni conquistate in precedenza devono essere difese a spada tratta. In occasioni come queste occorrono centinaia di barellieri, così da sgombrare il campo dai cadaveri che seguono due destinazioni diverse: al forno crematorio vanno i virus attaccanti perché di essi non resti più alcuna traccia; nei cimiteri comuni vanno i globuli bianchi fautori dell’ennesimo successo dell’organismo sui virus mostriciattoli. Quattro, cinque giorni di battaglia, talvolta di più, servono per liberarsi dal nemico. Le bandiere rosse vengono gradualmente sostituite con quelle verdi che indicano l’avvenuta liberazione. Quante sofferenze, quanti lutti in attesa di un nuovo giorno all’insegna della pace, della fratellanza, del benessere, della salute.
Palermo – Maggio 2020 – La luce soffusa della stanza bluastra e tante lucine sui macchinari che si accendono e si spengono ad intermittenza. I respiratori alitano artificialmente, inspirando ed espirando senza pausa. Il battito del cuore amplificato e storpiato dal rumore stridulo dei cicalini elettronici e le linee che rappresentano le pulsazioni cardiache che salgono e che scendono. Un tubo di plastica che mi entra direttamente nella trachea. E poi fili che salgono e che scendono, connettori, morsetti e adattatori che sembrano quasi avvolgermi in un bozzolo apparentemente mortale. Le flebo e i farmaci che non riesco nemmeno a contare. Al di là del vetro solo il silenzio e la solitudine di un corridoio inanimato. Attorno a me vedo delle figure amorfe di verde vestite e poi maschere e occhiali e i guanti di lattice. Non riesco a sentirne il calore vorrei toccarli, sentire l’odore della pelle, specchiarmi nel lago dei loro occhi. Che strano odore di disinfettante nell’aria e poi il caldo abbraccio di un letto che non è il mio. Ogni tanto qualcuno di loro si avvicina con sguardo benevolo e qualche parola di incoraggiamento.
A quando il risveglio da questo brutto sogno? A quando il lieto fine di un film drammatico e crudele? No! Non è un sogno, non è un film drammatico. Sono proprio io in rianimazione. In una di quelle sale dove si pratica la terapia intensiva. Ma se non ricordo male l’ultima volta erano state issate le bandiere verdi al posto di quelle rosse. I mostriciattoli erano stati sconfitti! Cosa è andato storto? Devo risvegliarmi, capire cosa mi sta succedendo! Sono perso nel vuoto temporale. Forse sto per morire!
Non voglio morire senza sapere chi sono, senza sapere perché mi trovo qui. Adesso ricordo: ero disteso nel mio letto con la febbre a trentanove, mia mamma che piangeva: “ti sei beccato il coronavirus di sicuro” – diceva. E io no, non è possibile. Il solito inguaribile ottimista ricordando che quando ero piccolo e gli amici e i parenti mi chiedevano: “Come stai?” Io rispondevo sempre: “Bene!!!”, anche se avevo la febbre alta e la tosse convulsa e mia nonna che mi portava in montagna per respirare aria buona.
Cosa posso inventarmi per capire cosa succede fuori da questo posto? Il cellulare, ora controllo, ma dov’è? Non lo trovo, lo hanno certamente sequestrato. Un giornale. Si posso leggere un giornale, lo chiederò al primo infermiere che si avvicina. Ma come faccio a leggerlo sono bloccato in questo letto e non posso muovere nemmeno un braccio! Ecco ci sono, chiederò a mia moglie appena viene a trovarmi e poi c’è mio figlio. Si, chi meglio di loro possono raccontarmi quanto mi è successo! Ma no non ho più una moglie da tanto tempo e poi mio figlio studia e lavora lontano da qui. Chiederò ai miei cari quando verranno a trovarmi. Li faranno entrare? Non ne sono certo. Ho trovato! Posso rivolgermi a Dio, non importa quale, basta che mi salvi. Posso pregarlo di salvarmi? Mia nonna mi diceva sempre di non allontanarmi da lui! Ma quando ho pregato l’ultima volta? Da quanto tempo non vado in chiesa? Oddio devo stare calmo e aspettare che tutto passi. Non ho altra scelta se non aspettare.
Dentro di me avviene il delirio, ora sono cosciente ma è come se mi trovassi sulle montagne russe, alterno ebbrezza a disperazione. Passano i giorni, oggi mi sento decisamente meglio, non sono più intubato e respiro autonomamente. Il dottore e gli infermieri mi lanciano occhiate e sorrisi, mi sembrano soddisfatti di come stanno andando le cose. La flebo continua a instillare medicinale nelle mie vene, goccia dopo goccia. Ma sono io che mi sento meglio adesso, non ho più paura di morire. E comincio a riprendere il controllo della situazione, non mi sento più in balia degli eventi. Penso che potrò rivedere i miei cari, che potrò ricominciare a scrivere e a viaggiare, ma anche ad amare.
Torno nel mio letto d’ospedale senza tutti quei macchinari che mi toglievano lo spazio vitale. Ora è come se avessi una normale influenza, posso alzarmi dal letto, posso affacciarmi dalla finestra e osservare il panorama. La notte riesco a dormire e alterno momenti di veglia ad altri in cui sprofondo nel sonno.
I fuochi vengono riaccesi; i forni crematoi lavorano a pieno regime; i caduti in battaglia ricevono degna sepoltura; le guarnigioni di globuli bianchi vengono sciolte e messe a riposo; la temperatura scende; le bandiere verdi sventolano alte; i generali contano le perdite ed hanno una nuova arma, frutto dell’esperienza, contro il corona virus; il respiro si fa più regolare. Tutti volgono lo sguardo al cielo, verso l’imboccatura da dove provengono ogni volta i mostriciattoli e pregano perché la mente-organismo che occupano sia prudente per il futuro, si copra bene e non prenda freddo.
L’ha ripubblicato su Antonino Schiera Riflessioni d'Autoree ha commentato:
Leggere in questi tempi in cui il tempo sembra essersi dilatato serve ad arricchirci, spero che il mio breve monologo possa attaccarvi allo schermo del vostro computer o telefonino. Grazi per le la lettura e per le condivisioni…:
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